"Secondo la tradizione, la “bistecca alla tartara” avrebbe questo nome proprio perché “inventata” dai popoli nomadi e guerrieri dell’Asia centrale, chiamati genericamente “Tartari” o “Tatari” in Occidente, i quali usavano mettere pezzi di carne delle bestie abbattute perché malate o ferite, tra la sella ed il dorso del cavallo: l’attrito di una giornata di galoppo ammorbidiva e macinava la carne rendendolo ancora più commestibile e gustosa.
Di questa pratica parla già lo storico Ammiano Marcellino attribuendola agli Unni.
Inutile dire che tra questa “ricetta” barbarica e la delicata preparazione entrata a far parte della grande cucina classica col nome di “steak tartare” la sola parentela è data dalla presenza di carne macinata."
Nossignori, il rispettabilissimo storico Ammiano Marcellino vi ha rifilato una bufala. I fieri cavalieri nomadi come mangiatori di carogne? Quest'idea poteva piacere allo storico dell'epoca ma non corrisponde al vero. La fetta di carne (mai di animali abbattuti perchè malati, figuriamoci!) serviva a guarire la schiena del cavallo - bene prezioso come oggi sarebbe una bella motocicletta - dalle ferite causate dalla sella. La sorta di poltiglia che per la sera diventava questa carne, era intrisa degli umori della ferita e del sudore del cavallo. Una cosa immangiabile, insomma. Nomadi si, ma scemi no...
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