mercoledì 31 ottobre 2007

Attila József, Al mio compleanno

Ho compiuto i trentadue

Mi faccio regalo di queste rime:

Dono

Vano.

Un presente, un piccolo cadeau

Scritto al banco di un caffè

Da me

A me.

Fuggiti questi anni miei

le “mille al mese” non l'ebbi mai
O Patria,

son paria!

L’insegnante potevo fare io

Non il consuma penna-stilo

Povero

Diavolo.

Non lo feci: chè mi allontanò

A Szeged dall’ateneo

Un capo

Sciapo.

Un abuso rapido e ruvido

Per il mio „A cuore candido”.*

Egli protesse

Indefesso

Contro di me la Patria!

Immortalato qui sia

Nome e

Solerzia:

„Finché ho mente sobria

Lei qui non si laurea”

così bela

e si bea.

Il Signor Horger si delizia

se il poeta non studia?

Meschina

letizia.

Io l'intero popolo

-non a grado di ginnasio-

farò mio

discepolo!



*“A cuore candido” titolo di un libro di versi e una delle poesie di J.A., fece scalpore a livello nazionale per il suo amaro cinismo (anni Trenta! nazionalismo, fascismo).

“Non ho padre né madre, né Dio né Patria, né bacio, né amante, né culla né coltre…”questi sono i primi versi, sto ancora lottando con la traduzione

le origini della bistecca alla tartara

"Secondo la tradizione, la “bistecca alla tartara” avrebbe questo nome proprio perché “inventata” dai popoli nomadi e guerrieri dell’Asia centrale, chiamati genericamente “Tartari” o “Tatari” in Occidente, i quali usavano mettere pezzi di carne delle bestie abbattute perché malate o ferite, tra la sella ed il dorso del cavallo: l’attrito di una giornata di galoppo ammorbidiva e macinava la carne rendendolo ancora più commestibile e gustosa.
Di questa pratica parla già lo storico Ammiano Marcellino attribuendola agli Unni.
Inutile dire che tra questa “ricetta” barbarica e la delicata preparazione entrata a far parte della grande cucina classica col nome di “steak tartare” la sola parentela è data dalla presenza di carne macinata."

Nossignori, il rispettabilissimo storico Ammiano Marcellino vi ha rifilato una bufala. I fieri cavalieri nomadi come mangiatori di carogne? Quest'idea poteva piacere allo storico dell'epoca ma non corrisponde al vero. La fetta di carne (mai di animali abbattuti perchè malati, figuriamoci!) serviva a guarire la schiena del cavallo - bene prezioso come oggi sarebbe una bella motocicletta - dalle ferite causate dalla sella. La sorta di poltiglia che per la sera diventava questa carne, era intrisa degli umori della ferita e del sudore del cavallo. Una cosa immangiabile, insomma. Nomadi si, ma scemi no...